Balvano, la strage dei bambini storia della generazione sparita
- Posted by Gianni Molinari
- On 14 Dicembre 2020
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Pubblicato su Il Mattino dell’8 novembre 2020
Alle 19.45 del 23 novembre 1980, il Tg2 parte con un grave Mario Pastore: «C’è il collega Mario Trufelli da Potenza che ci deve dare una terribile notizia». «C’è stata una fortissima scossa di terremoto» esordì il giornalista, oggi in pensione, ma noto al grande pubblico come conduttore di Check Up con Biagio Agnes. Poi si fermò, allungo lo sguardo verso il fondo dello studio: «Mi dicono ora che è crollata la Chiesa Madre di Balvano, ci sono molti morti». L’Italia seppe così del terremoto del 23 novembre: dopo 11 minuti il dramma divenne il dramma di
Balvano, paese sconosciuto ai più, ma conosciuto alla storia. La storia drammatica: nel 1944 nella galleria «Delle Armi» un incidente al treno 8017 Napoli-Taranto provocò 517 morti. È proprio nel piccolo cimitero di Balvano le due tragedie si fondono nel ricordo. Impressionanti le tante piccole lapidi della cappella che la famiglia Avventurato di Torre del Greco (che nella tragedia del treno ebbe due morti) ha fatto costruire e che contiene i resti di molte delle vittime della sciagura ferroviaria. Stringe il cuore la sequela di lapidi dei bambini morti nel crollo della Chiesa Madre. Perché quella sera in chiesa c’erano i bambini di Balvano: 66 bambini, una generazione spazzata via.
Stanno tutti insieme all’ingresso del cimitero: intere famiglie, tragedie che non sono finite quella notte, che si sono portate avanti per anni. Morti che hanno chiamato altri morti. Dopo 40 anni Balvano è un paese con molti anziani, ha subito lo spopolamento delle aree interne (dal 1980 ha perso un quarto degli abitanti), come tutti i comuni dell’ «osso» di Manlio Rossi Doria, ma ha anche la consapevolezza di essere stato un laboratorio: la ricostruzione dell’abitato crollato ha preso le forme del «cemento a vista» di due architetti innovatori, Romano Botti e Karina Eibl, che per cinque anni hanno lavorato nel paese. Ha due aree industriali, in una delle quali in uno stabilimento della Ferrero si producono gli introvabili Nutella Biscuits (e ora se ne prevede anche il raddoppio).
La chiesa crollata – al centro di polemiche e veleni – è stata completamente ricostruita: è orribile. Da lontano si vede una macchia bianca che disturba l’occhio. Una lapide all’interno ricorda la tragedia. La tragedia, appunto. Rimasta intatta negli occhi di chi nel buio e nella polvere accorse a Balvano. Quella notte partirono da Potenza i vigili del fuoco e i ragazzi del 91° battaglione di fanteria “Lucania”: avevano la divisa da poco più di un mese, partirono con le pale e l’idea che la loro “naja” da parentesi non troppo piacevole stava per diventare lo spartiacque della propria esistenza. Erano in giro in città, tornarono in caserma: il tempo dell’ordine della prefettura (anch’essa in parte crollata) di partire per Balvano e via con le divise mimetiche e i camion militari. E un dubbio degli ufficiali: che strada facciamo, e se i ponti sono crollati? La colonna partì, con cautela attraversò i ponti sulla Basentana. Ma il vero problema si presentò a due chilometri dal paese: da alcune cave si erano staccati dei massi che avevano bloccato la strada provinciale. I soldati scesero dai camion e man mano liberarono la strada: ci vollero ore. Arrivarono all’ingresso del paese tra l’1,30 e le due: lì il sacerdote li portò nella chiesa semicrollata. Entrati dalla sacrestia si trovarono, al lume delle candele, macerie e morti. Fu allora che un ufficiale, il capitano De Liceto, li esortò: «Usate la stessa pietà che usereste per vostri parenti».
«Mi impressionava il sangue – ricorda uno di quei ragazzi, nel frattempo incanutito che non vuole far comparire il suo nome perché il «servizio si fa in silenzio» e «non mi posso mettere davanti ai morti» – ma scavai con le mani, dovevamo fare piano, dalle macerie si sentivano i lamenti dei feriti. Scavammo tutta la notte – racconta – ricordo le facce di quei bambini morti che prendemmo dalle macerie, le braccia spezzate nel tentativo vano di proteggere la testa». E poi l’immagine che ancora ora lo sveglia la notte: «Prendemmo un bambino, avrà avuto 5-6 anni, respirava ancora: morì tra le braccia di vigile del fuoco». «Fu drammatico, pensai che era finito tutto, che anche la speranza ci avesse voltato le spalle. Proprio allora ci fu un’altra scossa: sotto i piedi si mossero le macerie, poco lontano ci fu un altro piccolo crollo – racconta l’allora fante – ci guardammo e senza nemmeno dire niente riprendemmo con ancora più forza a spostare le macerie. Noi eravamo “bassa forza”: i pochi vigili del fuoco erano davanti e noi facevamo la catena per spostare le macerie. Così tutta la notte: alla fine tirammo fuori tutti i morti, quasi tutti bambini».
Le prime luci del 24 novembre rivelarono – mentre la terra continuava a tremare – il disastro. Ma anche come il disastro fosse enormemente più ampio e avesse il suo epicentro nel confine tra Campania e Basilicata. I soccorsi allora si diressero, in parte, verso Muro Lucano, Castelgrande, Pescopagano in parte verso il piccolo paese di Ricigliano, in provincia di Salerno, che sta proprio di fronte a
Balvano. Giorni e giorni tra le macerie. Bare e dolore. E una certezza: «Quei novanta secondi hanno cambiato la nostra vita».
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