Big data, l’ultima colonna dimenticata
- Posted by Gianni Molinari
- On 15 Aprile 2016
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La disponibilità e l’accessibilità ai dati sulla nostra vita quotidiana gioca brutti scherzi a chi vuole a tutti i costi trovare conferme alle proprie tesi.
I dati – nella loro oggettività – presuppongono un forte spirito di ricerca, un’attenzione e un’accuratezza superiori e soprattutto necessitato dello sguardo del dubbio che consiste nel mettere in discussione i risultati raggiunti, cercando di controvertirli, e, quindi, avendo percorso fino in fondo i sentieri della verifica e del dubbio, giungere, solo allora a una conclusione.
C’è una scienza intera che si occupa di questo e, tuttavia, nell’era della “tabellina fai da te” molti di quelli che manipolano i numeri non hanno la formazione di base per farlo, né la necessaria onestà intellettuale accecati come sono dalle personali convinzioni poste sopra ad ogni verifica e ad ogni dubbio.
E’ capitato quindi che un opinionista maneggiando le statistiche della popolazione si sia fatto il convincimento che, per esempio, in Campania le aspettative di vita dei figli siano inferiori a quelle dei genitori per via, tra l’altro, delle condizioni ambientali, in particolare, la questione dell’interramento dei rifiuti tossici (che è un terribile problema).
Inoltre, si sosteneva che la speranza di vita dei campani fosse di un certo numero di volte inferiore a quella dei cittadini delle Marche e del Trentino Alto Adige.
A parte la comparazione tra tre regioni strutturalmente totalmente diverse (orografia, numero degli abitanti, densità di popolazione, numero di città con oltre 50mila abitanti, solo per fare qualche esempio) occorre vedere l’insieme dei dati e le tendenze degli ultimi 10/12 anni (cioè i database disponibili).
- La Campania è nel 2015 la regione dove la speranza di vita è la più bassa in Italia: 78,3 per i maschi e 82,9 per le donne contro 80,1 (m) e 84,7 (d)
- La Campania era nel 2002 la regione dove la speranza di vita era la più bassa in Italia: 75,9 per i maschi e 81,4 per le donne contro 77,2 (m) e 83 (d)
- Tra il 2002 e il 2015 la speranza di vita dei campani è cresciuta di 2,4 anni per gli uomini e 1,5 per le donne: quindi i figli hanno davanti un’aspettativa di vita superiore rispetto ai padri e alle madri
- L’andamento dell’aspettativa di vita tra il 2002 e il 2015 della Campania è stato in linea con quello del Mezzogiorno (2,4 uomini e 1,6 donne)
- Le Marche che hanno nel 2015 un’aspettativa di vita sia per gli uomini (80,8) sia per le donne (85,4) superiore alla Campania hanno avuto un progresso tra il 2002 e il 2015 di 2,1 anni per gli uomini e 1,2 per le donne: in entrambi i casi inferiore alla Campania
- In genere tutte le regioni meridionali hanno un’aspettativa di vita inferiore a quelle del Nord, le regioni meridionali più piccole e meno densamente abitate hanno un’aspettativa di vita superiore a quelle delle regioni meridionali più abitate (ma sempre meno dell’insieme delle regioni settentrionali e anche di quelle più piccole)
- Il progresso dell’aspettativa di vita nelle regioni centro-settentrionali è superiore (in questi tutti i casi) alla media italiana: il progresso è in particolare soprattutto per gli uomini.
- L’Istat “attraverso l’integrazione tra gli archivi Istat dell’Indagine su decessi e cause di morte del 2012 e del Censimento della popolazione e delle abitazioni del 2011, implementando una procedura di record-linkage individuale” ha calcolato che “Le distanze più marcate nella speranza di vita alla nascita rispetto a chi ha conseguito una laurea o titoli superiori si osservano tra gli uomini con un titolo di studio basso (nessun titolo o licenza elementare) con una differenza di 5,2 anni. Per le donne la differenza nella speranza di vita per titolo di studio, sempre alla nascita, è invece di 2,7 anni. L’effetto del titolo di studio si mantiene rilevante anche in età anziana (65 anni) con un vantaggio per uomini e donne con titolo di studio elevato rispettivamente di 2,2 e 1,3 anni di vita”.
- Sempre secondo i dati dell’Istat: “La quota di adulti poco istruiti sfiora il 50% nel Mezzogiorno, con una partecipazione degli stessi ad attività formative più bassa rispetto alle altre ripartizioni”.
- A ciò si aggiunge il livello delle strutture sanitarie, quello dell’assistenza agli anziani che fa la differenza.
- E pur tuttavia, per fortuna di tutti, chi nasce oggi in Campania vivrà più a lungo di chi lo ha messo al mondo.
Ps. Un altro esegeta della “statistica à la carte” nell’illustrare la differenza tra la presenza di asili nido nelle varie regioni d’Italia ha dimenticato di illustrare l’ultima colonna di una tabellina usata per sostenere l’articolato ragionamento: era la colonna con le percentuali di contribuzione dei privati al servizio. Maggiore era la percentuale di contribuzione, più alto è il numero di asili comunali. Ma questo faceva saltare il ragionamento del piagnisteo sudista.
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