Case, affitti e transumanze
- Posted by Gianni Molinari
- On 22 Maggio 2023
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Da qualche giorno – e ben prima dell’alluvione in Romagna – la storia degli affitti degli studenti è sparita dai radar: come spesso accade nel dibattito pubblico italiano, l’obiettivo è fare caciara e non risolvere i problemi.
Milano è stata l’epicentro della protesta contro il caro affitti per le abitazioni per gli studenti (per completezza, Milano è esosa per tutti gli affitti!) e alcuni studenti si sono piazzati in tenda davanti alle università. La protesta si è subito estesa, come capita nel mondo universitario, sovente a prescindere.
Il dibattito politico subito si è polarizzato, spessissimo senza sapere nulla della materia. Il fervido ministro dell’Istruzione, Valditara, accusato le città amministrate dal Pd: Roma, Milano e Napoli. Le tre principali città italiane, i tre più grandi poli universitari italiani. Avesse collegato queste tre informazioni, avrebbe taciuto.
Proviamo a fare qualche domanda.
Prima domanda: perché essendosi il sistema universitario articolato così capillarmente ancora oggi è in atto una transumanza verso un certo numero ristretto di città sicché il fenomeno dei “fuorisede” è ancora così rilevante?
La diffusione delle università, è bene cominciare a dirselo senza timori, non è avvenuta di pari passo con la qualità del sistema: tante sedi, poche sedi di livello qualitativo buono.
E perché? Perché nelle nuove sedi sono state piazzate le quarte, quinte e seste file delle università principali spesso mogli, mariti, figli, amanti e affiliati vari. Quindi si è dato reddito agli amici.
Inoltre, come elemento complementare, ma ugualmente rilevante, è l’offerta di corsi in molta parte inadeguata e in altra parte “fantasiosa”, quindi, non “bancabile” nel mondo del lavoro.
Questo sconfortante scenario prima porta i ragazzi a scegliere corsi e atenei “noti” (e le famiglie a fare enormi sacrifici per sostenere gli studi).
Poi, elemento ancor più determinante, le aziende che, al di là dei rating e delle stampa amica, conoscono bene il valore di ciascun ateneo, assumono i ragazzi dalle università realmente migliori.
Inoltre, bisognerebbe prendere atto che i ragazzi della «generazione Z» (nati dopo il 1997), gli attuali studenti universitari, hanno una elevata mobilità. E’ la generazione che è nata e vissuta negli anni in cui la mobilità è diventata un elemento fondante della propria identità: solo per inquadrare il fenomeno basti pensare che i passeggeri degli aerei in Italia sono passati da 90 milioni del 2001 ai 192 milioni del 2019 (164 milioni nel post Covid 2022), che si sono sviluppate come mai prima le vacanze invernali e il turismo breve dei weekend.
Inoltre è la generazione «nata» in internet, abituata a scegliere con un click su scala globale perché, appunto, la rete non ha un vincolo geografico.
Sono i ragazzi che non guardano solo sotto casa, ma alla propria prospettiva, quella più lunga: e in questo hanno trovato un’offerta universitaria articolata, anch’essa come mai prima.
Quindi tutte le condizioni perché la mobilità universitaria più che ridursi, per l’ampliarsi geografico delle sedi, si sviluppasse in modalità diverse.
E le metropoli hanno continuato a giovarsi dell’effetto città, cioè l’attrazione determinata dai rendimenti crescenti, ha portato al moltiplicarsi, più che nelle sedi piccole, di corsi e opportunità per i ragazzi.
Seconda domanda: esiste un problema di alloggi così drammatico?
Esiste. Anzi è sempre esistito, forse in passato in forme ancora maggiori. Solo che i vari movimenti di protesta che a rotazione si sono susseguiti nel tempo avevano altri interessi perché orientati da élite urbane. Basterebbe vedere chi sono oggi gli allora capetti della Pantera.
Ma è un problema di posti letto, di studentati (e loro gestione), di accesso al mercato delle locazioni?
Non ci sono numeri, senza i quali il fenomeno non può essere correttamente inquadrato.
Si potrebbe sapere quanti sono i fuori-sede, ma sulla definizione ci si dovrebbe intendere: fuorisede è colui che risiede in un comune differente (ed è quindi pendolare) o chi ha bisogno di un alloggio perché la sua residenza non è agevolmente raggiungibile quotidianamente?
Inoltre, chi può accedere a forme di residenzialità pubblica (studentati)?
Ora ci si affanna a promettere nuovi studentati, alloggi attrezzati, case-albergo ecc.
Tutto encomiabile – se resiste al tempo – ma ci vuole appunto tempo: tempo per fare i progetti perché le strutture non si pensano con un battito di ciglia, tempo per gli appalti, tempo per i lavori, tempo per i collaudi.
Inoltre c’è il nodo della gestione, soprattutto delle risorse per la gestione di queste strutture. Perché – com’è tristemente noto, in particolare nel Mezzogiorno – con i fondi straordinari si fanno strutture belle, griffate da archistar, poi però servono risorse per gestirle, per assumere il personale, per fare le manutenzioni, garantire la sicurezza.
Ci saranno questi soldi? Boh.
Dunque?
Terza domanda: chi può accedere alle strutture pubbliche residenziali?
Può sembrare stupida questa domanda, ma nasconde insidie.
I posti alloggio sono assegnati in via prioritaria agli studenti con la qualifica di fuori sede (secondo la distanza chilometrica. a parità di voti e Isee, ottiene il posto chi vive più distante), capaci, meritevoli e privi di mezzi, sulla base dei criteri di valutazione della condizione economica e del merito stabiliti dalla disciplina in materia di diritto allo studio.
(condizione economica è Isee)
Questo è un articolo-tipo di uno dei bandi tipo per l’assegnazione dei posti alloggio.
Per l’assegnazione i requisiti sono: qualifica di fuori sede, merito e assenza di mezzi economici.
Centrale è dunque l’Isee: un Isee basso assicura la possibilità di accedere a un numero ampio di servizi pubblici.
Secondo una valutazione dell’Inps : il 56% delle famiglie italiane ha un Isee inferiore a 10mila euro.
Con questo panorama non basteranno mai gli eventuali posti, né i soldi pubblici per mantenere un sistema di studentati così enorme.
Sorge il solito dubbio su come è possibile avere Isee così modesti con una proprietà immobiliare così diffusa per esempio, un livello di consumi abbastanza alto, una percentuale di auto di grossa cilindrata che mal si concilia con redditi bassi: basti pensare che ogni 100 famiglie, 56 non hanno la disponibilità di mille euro al mese!
Difficile da credere. Del resto basta guardarsi intorno per capire che questo è uno dei tanti effetti collaterali dell’evasione fiscale mostruosa di questo paese.
Il problema resterebbe pure in caso di miracolo per il rimanente 44% di famiglie.
Quarta domanda: cosa si può fare in concreto e subito?
Lo Stato la soluzione per famiglie e proprietari (con vantaggi per la comunità) la tiene già bella e pronta, ma sconosciuta ai dichiaratori.
Il legislatore italiano (che sulla casa si è particolarmente accanito con la tassazione e vessazioni varie, tipo i contratti non residenziali dell’energia) una soluzione l’ha trovata, timida e che se rinforzata potrebbe essere una risposta rapida ed efficace all’emergenza casa per gli studenti.
Si chiama contratto di locazione per studenti universitari: vediamo come funziona e perché potrebbe essere utile, se si apportano alcune modifiche per renderlo più attrattivo, a dare una mano ai ragazzi a trovare casa, alle famiglie a non essere dissanguate e ai proprietari a mettere a reddito immobili preferendo questa agli affitti brevi per i turisti.
Il contratto di locazione per studenti universitari ha una durata tra sei mesi e tre anni, l’immobile deve essere nel comune sede del corso di laurea (o in uno limitrofo), lo studente deve essere iscritto a un corso di laurea (o master, o dottorato) e risiedere in un comune diverso, lontano almeno 100 chilometri.
Vediamo le convenienze.
Per il proprietario la cedolare secca è del 21% (in alcuni casi può scendere a un’aliquota inferiore) con esenzione dell’imposta di registro (se non è cedolare è il 2% l’imposta di registrazione). Invece agli studenti (che devono avere la garanzia di uno dei genitori) è prevista una detrazione per canoni nella misura del 19% per un massimo di € 2.633. Queste sono la caratteristiche principali, poi ci sono dettagli accessori. Ovviamente sono contratti registrati all’Agenzia delle Entrate.
Se per lo Stato la parità di accesso ai corsi universitari fosse una priorità basterebbe un articolo in un decreto legge per aumentare, per esempio, le detrazioni (nel caso dei ragazzi una detrazione di 6.000 euro all’anno, cioè 500 euro al mese potrebbe essere una misura congrua), tagliare l’Imu e la cedolare secca per i proprietari. Sarebbe tutto automatico, collegato alla residenza dello studente, alla sua iscrizione ad un corso universitario e al luogo dell’immobile, avverrebbe alla luce del sole (registrazione dei contratti) e si darebbe un bell’impulso a rimettere in circolazione immobili i cui proprietari spesso tengono vuoti per il timore della lunghezza prevista delle locazioni standard (in questo caso il massimo è tre anni) o a quanti scelgono la via dell’affitto breve che, tuttavia, impone una serie di operazioni accessorie che potrebbero indurre alcuni (viste agevolazioni più congrue) a offrire l’immobile al mercato degli universitari.
E lo Stato?
Anzitutto ci sarebbe una parte non sottoposta alle detrazioni su cui applicare la tassazione, avrebbe attraverso la registrazione dei contratti l’esatta dimensione del fenomeno e passerebbe dalla parole ai fatti aiutando davvero gli universitari e in definitiva investendo sul suo futuro.
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