Chi ha distrutto la comunità?

Chi ha distrutto la comunità?

  • Posted by Gianni Molinari
  • On 26 Luglio 2021
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Le comunità si riconoscono nelle regole, dal loro rispetto, dalla loro applicazione.
Le regole – quelle che piacciono e quelle che non piacciono – si osservano. A prescindere.
Lo stato democratico definisce le regole e anche le modalità per cambiarle.
In questi anni, invece, per convenienza politica, personale, di casta, di casato, di combriccola si è stabilito, invece, che le regole esistenti sono solo l’inizio di una trattativa e, quindi, cambiabili a piacimento da chi le dovrebbe, invece, solo osservare.
Oggi c’è meraviglia per la disgregazione della nostra comunità, per le offese costanti al vivere comune, per il mancato rispetto a chi il rispetto meriterebbe, per i continui piccoli intollerabili soprusi.
Siamo in un frullatore dove i più violenti, gli ottusi e i volgari hanno gioco facile.
Questa storia non è cominciata oggi e purtroppo non finirà domani anche perché nessuno lavora a ricostruire le ragioni della comunità.
Chi l’ha distrutto la comunità?
Da un lato c’è un ceto intellettuale, prevalentemente assistito e salottiero, sovente con una cattedra universitaria dispensata nel classico sistema italiano del baronaggio, che si è autointestato il diritto a giudicare il mondo sulla base delle proprie idee e ha definito, in quella che si chiamerebbe oggi la bolla di giusti da proporre quale modello al resto dei mortali.
Dall’altro ci sono gli interessi economici che hanno bisogno a loro volta di modelli da imporre all’opinione pubblica per imporre prodotti e comportamenti che generano ricavi.
Non sono due mondi antitetici, né si combattono – come potrebbe fintamente sembrare da qualche scaramuccia dialettica – l’obiettivo è comune: l’egemonia, da un lato, culturale, dall’altro economica.
Da un lato si potrebbe dire il delirio personale, dall’altro il profitto senza regole.
Il punto di giunzione di questi mondi è nei reality e nei talk show: i primi, veicolano i modelli comportamentali-consumistici, i secondi, i modelli culturali “à la page”. Sull’economia dei reality ho scritto qualcosa una decina di anni fa.
Per raggiungere questi obiettivi bisogna togliere di mezzo ogni regola, ogni consuetudine e per ottenere questi risultati è indispensabile serve alzare il tono e la temperatura.
Bisogna cercare lo scontro per dimostrare l’insufficienza di un apparato normativo “obsoleto e non aderente ai tempi” per sostituirlo con il niente.
Anche qui nulla di nuovo: è lo stesso canovaccio che negli Usa ha portato alla grande crisi del 2007 che Joseph E. Stiglitz racconta in Bancarotta: togliere di mezzo ogni regola e avventurarsi in terreni scivolosi. Il conto lo ha pagato una nazione nella sua complessità e i poveracci che hanno perso case e pensioni.
La nostra bancarotta è la marginalità nella quale stiamo finendo: l’incapacità di una comunità di affrontare le sfide del suo tempo per portarsi tutti insieme in un’epoca diversa da quella del XX secolo.
Saremo più litigiosi, più inutili, più indebitati, più servi di chi – di volta in volta – ci salverà dalla bancarotta e ci metterà il piatto in tavola.
Però batteremo le mani a chi ci illude che la colpa è degli immigrati (ora dall’Africa, prima dal Sud), della Germania, di Bildenberg, del Fondo monetario internazionale, di Big Pharma.
Basterà per eleggere qualche parlamentare in più anche la prossima volta.
Perfetti Nestbeschmutzer colui che fa più danni alla collettività di quanti vantaggi riesce a procurare a se stesso, ma ha la presunzione di plasmare le cose, di governare i flussi, di condizionare il futuro.

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