Covid e Ucraina, le lezioni che non abbiamo imparato

Covid e Ucraina, le lezioni che non abbiamo imparato

  • Posted by Gianni Molinari
  • On 26 Febbraio 2022
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Così come a marzo 2020 con il misterioso Covid che ci terrorizzava ci trovammo drammaticamente  di fronte alla penuria di mascherine e di guanti, tanto che i pochi dispositivi di protezione raggiunsero prezzi siderali (le mascherine chirurgiche toccarono i 6 euro) e capimmo che erano quasi esclusivamente importate (qui la mappa degli acquisti); oggi con la crisi Ucraina scopriamo la nostra estrema fragilità energetica.

Ieri la Cina, oggi la Russia: legati a doppio filo con i fornitori più geopoliticamente più “volatili” e meno gestibili.

La Cina si tenne mascherine e guanti, la Russia – oltre a decidere quantità e prezzo – potrebbe decidere di chiudere i rubinetti del gas da un momento all’altro.

Il Paese non ha compreso già due anni fa che alcune produzioni vanno oltre il profilo economico e ne rivestono uno strategico che fa passare in secondo piano la valutazione costi/ricavi perché attengono alla sicurezza e alla sopravvivenza del paese.

Era quella che – insegnavano – veniva definita la strategicità dell’industria di base.

A due anni dal Covid, per esempio, continuiamo a importare la stragrande quantità di mascherine: non è una questione di costi della manodopera, perché le mascherine vengono prodotte dalle macchine.

Eppure siamo duri a capire.

La stessa cosa – da anni – vale per il gas: è stato spiegato che spostare la produzione elettrica dal nucleare, dal carbone e dai fossili puntando in modo così massiccio sul gas sarebbe stato un problema (non sarebbe difficile da capire).

C’è stata la prima crisi Ucraina del 2014 con la decisione della Russia di interrompere le forniture a far capire cosa significava quella dipendenza, Il Bel Paese nel 2014 si salvò con le riserve strategiche (grandi depositi sotterranei di gas) e con integrazioni delle forniture di gasa da altri paesi.

Ma non bastò a far riflettere, anzi tutti a produrre energia dal gas…….
Il grafico va vedere proprio come la produzione di energia dal gas sia rimasta immutata intorno al 50 per cento!

Facendo due conti il gas russo vale il 20 per cento di tutta la produzione di energia! Le centrali a carbone che si vogliono riattivare potranno – tra le proteste già pronte – recuperarne la metà; alla primavera toccherà fare il resto.

Inoltre era chiaro che alimentarsi in gran parte da un unico fornitore era un problema addizionale di non poco conto, ma anche l’unico progetto di approvvigionamento alternativo, il Tap,  ha trovato ostacoli e opposizioni. Su questa barricate si sono costruite belle carriere politiche: nel comune di Melendugno (dove approda a San Foca il Tap) alle elezioni politiche del 2018 il Movimento 5 Stelle, all’epoca il partito che catalizzo la protesta, ottenne alla Camera il 62,92% dei voti! (ben venti punti in più del valore regionale e 23 in più del Collegio di Nardò, nel quale è inserito il comune) .

Poi sul Tap sappiamo com’è andata a finire con le giravolte e le inversioni a U.

Intanto restiamo appesi a gas e Russia.

E magari – visti i tanti distinguo sulla guerra e le lingue attorcigliate – un giorno si scoprirà chi ha finanziato Putin in Italia.

 

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