Gli immigrati, Donald Duck e l’irritazione della Silicon Valley

Gli immigrati, Donald Duck e l’irritazione della Silicon Valley

  • Posted by Gianni Molinari
  • On 30 Gennaio 2017
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Per la politica “sovranista” di The Donald è già l’ora dei “conti con i conti” delle grandi aziende americane.

L’80 per cento del commercio mondiale – rileva Parag Khanna in Connectography  – ha luogo nell’ambito delle supply chain delle grandi multinazionali e delle loro affiliate – che non avrebbero alcuna ragione di voler pagare di più per rifornire se stesse.

Anche il grande passo indietro rispetto al Tpp (Trans-Pacific Partnership) è più che altro un danno per l’economia Usa: infatti nelle trattative – ricorda sempre Khanna – gli States hanno imposto alti standard sia per garantire le aziende a “Stelle e strisce” si per riguadagnare un’influenza strategica in Asia.

Infographic: U.S. Jobs That Are Supported by Exports to Trans-Pacific Partnership Countries | Statista
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Naturalmente la Borsa appena ha sentito la parola protezionismo (che si associa ai termini monopolio, oligopolio, efficienza ridotta ecc…) è subito schizzata. Poi qualcuno deve avere spiegato ai giovanotti di Wall Street che giocano con l’analisi tecnica che le cose non sono proprio messe bene. Poi sugli immigrati si è alzato il muro delle aziende della Silicon Valley che sugli immigrati ha costruito le sue fortune.

Il ragionamento è tuttavia più complesso e per gli States fondativo.

Gli Stati Uniti – scrivono Erik Brynjolfsson e Andrew McAfee in La nuova rivoluzione delle macchine: Lavoro e prosperità nell’era della tecnologia trionfante – hanno fatto nascere tanta innovazione e crescita economica negli ultimi due secoli perché, nell’insieme, ricompensavano innovazione e investimenti. Non succedeva nel vuoto pneumatico, era favorito da un particolare insieme di accordi politici e istituzioni politiche inclusive, che impedivano che un’élite o altri gruppi ristretti monopolizzassero il potere politico e lo sfruttassero a proprio vantaggio e a spese della società.

Oggi del resto, tolta di mezzo la propaganda, la situazione è già cambiata:

Per la prima volta da decenni – rilevano Brynjolfsson e McAfee – il tasso di crescita delle imprese fondate da immigrati è rimasto stagnante, se non in calo. Rispetto ai precedenti decenni caratterizzati da una crescita dell’imprenditoria degli immigrati, gli ultimi sette anni sono stati testimoni di un appiattimento di questa tendenza

Traduzione: l’orizzonte per le imprese americane e tutt’altro che rosa. E le borse oggi hanno cambiato verso.

Infographic: The United States Is A Nation Of Immigrants | Statista
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