L’economia dei reality

  • Posted by Gianni Molinari
  • On 5 Aprile 2010
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Chi l'ha vista?

Qualche anno fa fummo sorpresi dalla capacità della Società dell’Informazione di entrare così prepotentemente nei paradigmi dell’economia tanto da mutarli alla radice. L’equazione ricavo=profitto benché auspicata universalmente si è verificata solo con l’avvento della società dell’informazione. Si pensi a un software: dopo un certo numero di copie vendute in download tutto quello che si incassa è guadagno. Chi ha un I-Phone sa bene di cosa parlo.

Ma anche l’economia dell’informazione è superata. La realtà corre veloce: non c’è bisogno di cambiare il mix dei fattori. C’è stata un’altra rivoluzione che ci ha travolto: l’economia dei reality. Tutti possono illudersi, pochi raggiungeranno gli obiettivi. Ma basta che il successo sia visibile, tale da alimentare continuamente le illusioni generali.

Andiamo con ordine. Ogni giorno – volenti  nolenti – incrociamo salotti televisivi, troni e tronetti, letterine, meteorine, grandi e piccoli fratelli, naufraghi e agricoltori: non li incrociamo necessaria mente in tv: basta vedere i manifesti affissi sui muri e contare quanti sono gli spettacoli dei cantanti e quante sono le rappresentazioni teatrali e quanti i manifesti che annunciano in discoteche, locali, inaugurazioni di parrucchieri, di negozi di abbigliamento e tanto altro le cosiddette “comparsate” cioè la presenza di un divo della tv.

Si spostano così soldi tanti soldi. Spesso in nero. Prima si invitata un calciatore, una ballerina, una cantante, comunque qualcuno che per raggiungere la notorietà aveva una dote naturale sviluppata con l’allenamento o che aveva sudato ore per sincronizzare i movimenti del corpo con la musica. Oggi si invita chi in tv va a parlare di se stesso, magari va a litigare, o si inventa semplicemente una storia o legge su un display le previsioni del tempo o sposta qualche pezzo d’arredo di uno studio tv. Tutte attività che non hanno bisogno di alcuna “accumulazione primaria di capitale” – per introdurre un concetto caro a Smith e Marx – non c’è bisogno di studiare, di imparare a fare qualche cosa, a investire in qualcosa: si va  e si fa cose comuni.

Cose comuni che rendono. Certo poi si passa veloce. Ma qualcuno resta. E questo basta a far mettere in fila migliaia di ragazzi per partecipare a improbabili provini. Che pochi riescano non fa niente: alimenta l’illusione di riuscire facilmente, di sfondare, di guadagnare tanti soldi semplicemente esibendo il proprio corpo e sparando le cazzate che passano per la testa in quel momento. Si diviene un modello e si mette in moto un processo economico che invade l’intera società.

Ecco perché se vuoi aprire una qualsiasi attività che abbia un certa clientela devi trovare la giusta “comparsata”, devi associare il tuo marchio, la tua attività a un tronista, a un naufrago, a una letterina.

Il circuito funziona per pochi, anzi pochissimi molto bene, poi c’è chi ci campa e infine chi resta con il culo per terra. La maggioranza. Ma come il Superenalotto domani si ricomincia. Peccato che il mondo reale è un’altra cosa (direi anche purtroppo) che non c’è lavoro e non ci sono professionalità, che molto cose che lo Stato faceva tra poco non le farà, che molti passata l’illusione non arrivano alla terza settimana, che le mense della Caritas sono piene, che certi ospedali è meglio evitarli.

Intanto godiamoci lo spettacolo: l’economia dei reality fa felici tutti: festa, farina e forca!

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