L’Italia, 50 anni dopo
- Posted by Gianni Molinari
- On 1 Ottobre 2013
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Si può tornare indietro di 50 anni? Certo che si può.
L’Italia ha meno popolazione attiva (2010, dati Ocse) che nel 1960: 37,39 contro 40,38%. Cioè il 2,99% in meno.
Siamo penultimi (ma l’ultimo posto della Turchia in realtà è una strana combinazione di numeri) nella classifica della crescita della popolazione attiva tra i paesi dell’Ocse.
Anche la Grecia, che sta peggio di noi, ha fatto meglio di noi.
50 anni sono un periodo sufficiente per valutare un sistema-paese: è il tempo per fare cose importanti nelle infrastrutture (l’autostrada del Sole, p.es.), è il tempo che serve a cambiare il mix dei fattori produttivi, è quel tempo che gli economisti chiamano lungo periodo.
In 50 anni è cambiata completamente l’agricoltura, è nata e, in parte morta, l’industria, esplosi, ridimensionati, riesplosi i servizi.
Ma questi cambiamenti hanno riguardato tutti i paesi, magari con qualche sfumatura, ma sono megatrend che hanno interessato tutti.
E allora cos’è successo al Belpaese?
Ovviamente l’Italia non è stata ferma: in 50 anni i posti di lavoro sono aumentati di 2,4 milioni, anche se la popolazione è cresciuta di 10,3 milioni. In Francia, per esempio, la popolazione è cresciuta di 17 milioni (molti rientri dalle avventure coloniali e moltissima immigrazione), ma i posti di lavoro sono saliti di 7 milioni. O ancora l’odiata Germania – che partiva, a causa della guerra, con molte delle nostre stesse zavorre – è passata da 72 a 81 milioni, ma gli occupati sono passati da 25 a 38 (riassorbimento dell’est compreso!). Per tacere della Spagna – che pure è oggi inguaiata – o del Portogallo, senza considerare i liberisti Usa, Australia e Nuova Zelanda o i civili paesi scandinavi.
L’Italia ha pagato e paga le corporazioni, i recinti chiusi, le rendite di posizione. Argomenti che non si affrontano durante le campagna elettorali (qualcuno ha sentito mai più parlare della civilissima liberalizzazione dei taxi o dei notai, o delle farmacie, o dell’inutile ordine dei giornalisti o della vergogna dell’intramoenia nella sanità, o delle altre decine di piccole consorterie che ammorbano il Paese salvo poi a fare la lezione agli altri?).
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