Ma che Italia è?

Ma che Italia è?

  • Posted by Gianni Molinari
  • On 23 Novembre 2021
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Dal 4 gennaio 2018 al 4 marzo 2018 sul blog 60giornialvoto ho tenuto un taccuino per annotare, nei 60 giorni della campagna elettorale l’Italia comune, i piccoli fatti, le passioni, le vite quotidiane, le difficoltà, le aspirazioni. Il desiderio era provare a raccontare, attraverso tante piccole note, l’Italia comune.

Ho raccolto queste 60 storie un un pamphlet “#Italia2018, 60 storie per capire la Terza Repubblica” pubblicato a maggio 2018 e le ho fatte precedere, oltre che da una introduzione di Luca Meldolesi, da una alcune brevi riflessioni.

Le ripropongo qui perché penso possa aiutare a capire certe derive di questi giorni.

 

Cominciamo dal 4 marzo. Anzi dalla mattina del 5. Per chi ha rinunciato alla partecipazione alla notte
degli exit poll e delle proiezioni, il risveglio è stato nella Terza Repubblica.
Per intenderci sono “Repubbliche” all’Italiana: in definitiva cambiano solo i partiti protagonisti della scena.

Il palcoscenico è sempre lo stesso: stessa Costituzione, la “più bella del mondo” ma piena di acciacchi, tuttavia troppo bella per poterla toccare e quindi irriformabile, naturalmente stesso sistema istituzionale e ovviamente stessi immutabili problemi: debito pubblico, disoccupazione, giovanile in particolare, burocrazia, corruzione.
Mutatis mutandis, è la stessa situazione della Seconda Repubblica. In meno, ci sono le manette del pool
di Mani Pulite. In aggiunta, ci sono i corposi interessi maturati in 26 anni di governi “liberali” di Berlusconi e
“riformisti” dei vari aggregati di centrosinistra. Tempo perso per riforme fatte poco e svogliatamente.
In compenso, l’Europa è andata avanti e il Mondo, con la globalizzazione, ancora più avanti. La stessa
occasione fornita dall’Euro di avere uno spazio monetario unico europeo e una moneta da usare senza
timori sui mercati internazionali è passata in secondo piano in un sistema produttivo abituato a competere con le svalutazioni della lira piuttosto che con la crescita della produttività.
In compenso si sono abbattuti sul Paese i grandi problemi della globalizzazione: l’ondata migratoria
dall’Africa, sempre più povera e depredata, la Grande Crisi del 2008 che ha messo a nudo le fragilità di un
sistema capitalistico spostato eccessivamente e con disinvoltura sulla finanza, e le economie da miliardi di
lavoratori delle Tigri asiatiche.
E poi il mondo nuovo dei social e la fine dell’intermediazione. Messi insieme, esplosione dei social
e intermediazione sepolta, producono l’effetto che ognuno è diventato, o crede di essere diventato, la misura del mondo.
Ecco la trama della Terza Repubblica. Fonda le sue basi sulla più potente riforma della costituzione
“materiale” mai fatta: la fine dei corpi intermedi.
Sindacati (di imprenditori e lavoratori) ormai debolissimi incapaci di cogliere le nuove coordinate del
sistema economico post-Grande Crisi, media travolti dal web e dall’idea – come sostiene il politologo Belga David Van Reybrouck (Contro le elezioni, perché votare non è più democratico, Feltrinelli, 2015) – che “ciascuno in tasca
tiene la propria tipografia”, associazioni unipersonali (qualcuno ricorda forse il congresso per eleggere i
dirigenti di qualche associazione di consumatori?) dedite alla promozione del leader.
Di questo mondo, gli italiani hanno percepito i privilegi, anche quando non c’erano, le dinastie, la
sostanziale inutilità.

E hanno deciso di azzerare la Casta. E poi se almeno potenzialmente posso scrivere un tweet a “The
Donald” che lui certamente riceve – e sicuro non legge – perché mai avrò bisogno di tutto questo apparato?
La misura di ciascuno è diventata il metro per la misura della comunità e del Paese. Ciascuno basta per
sé ma la somma non va bene a nessuno.
Una somma tuttavia è necessario, ogni tanto, farla.
L’occasione è il voto. In Italia si vota ogni anno: politiche, europee, regionali, comunali, municipalità. Per non parlare dei vari livelli di partecipazione nelle istituzioni partecipate (scuola, università, ecc.).
In questo continuo votare c’è finanche spazio per l’amarcord del voto che non c’è più per le Province. Lì – com’era per gli enti locali intermedi (Comunità montane, Consorzi di bonifica e simili) si è passati al voto di secondo livello. Ente inutile capace di resistere pure senza soldi. E con i nostalgici di un voto che non si capiva e che non c’è più.
Ma guai. Eppure ogni anno c’è una sfida su qualcosa. Nella Terza Repubblica le armate si schierano sui social e poco nelle piazze.
Armate di cosa e per fare cosa?
Un mondo fatto dalla somma di tante monadi, può alla fine trovare elementi comuni in pochissimi ambiti tenendosi sempre su indicazioni non generali, ma generalissime. Appena si approfondisce si perdono pezzi.
E i pezzi non si possono perdere.
È la politica semplificata, sfrondata, banalizzata.
L’era della complessità, dei supercalcolatori, dell’esplorazione dell’infinito, della vita media che si allunga grazie alle biotecnologie si ferma come una gallina di fronte a una linea e rinuncia a usare gli stessi strumenti analitici del proprio ambito per provare a capire lo spazio pubblico.
Parte la caccia ai comuni denominatori per individuare un ordito largo per poi metterci la trama che ognuno vuole. Perché – potenza della Rete – alla fine ognuno si fa il suo programma, ci mette quello che vuole perché gli slogan nella loro costruzione sono fatti appunto con parole che possono dare a tutti la possibilità di starci.
Poi c’è la necessità di contrapporre: “sì o no”, “pro o contro”, “favorevole o contrario” o per dirla alla Facebook “mi piace” o “non mi piace”.
Torna l’Italia Medievale, una riedizione semplificata di Guelfi e Ghibellini, senza né i Guelfi, né i Ghibellini.
Un metodo di approccio universale: immigrati, unioni civili, pensioni, vaccini, euro.
Pur di avere un sì o un no si semplifica, si sfronda, si fanno sparire domande e dubbi.
Dividendosi sommariamente anche argomenti un tempo più unificanti con un dissenso confinato allo “zerovirgola” hanno oggi rappresentazioni corpose.
Inoltre le minoranze si coalizzano e si riconoscono a vicenda ingrossandosi e talvolta diventando maggioranza.
I vegani stanno con i “No Vax”, i No Tav con i No Tap, i Rettitiliani con quelli delle scie chimiche. Come se l’opposizione all’odiato mainstream sia l’elemento comune che può mettere insieme cose che non hanno punto di contatto specifico.
Appunto nell’ordito c’è posto per questa trama.

Gli slogan non risolvono problemi, naturalmente.
Che poi si trovino soluzioni è un’altra storia e, forse, non interessa nemmeno. Perché trovare la soluzione fa perdere pezzi di consenso.
Se poi non si fa ciò che si è promesso, la complessità del mondo che non si è riusciti a disboscare con l’ascia social offre sempre una giustificazione: i poteri forti, la “troika”, i complotti, Soros, il “è stato fatto quando io non ero nato e comunque io non c’ero” a giustificare i fallimenti e tenere ben saldo il fideistico consenso.
Perché la seconda caratteristica della Terza Repubblica è il “reset del fu” anche quando cancellare non si può.
Almeno a parole, via leggi, via, naturalmente, uomini, via nomi e via anche insegne. È lo “spoil system” esteso. Il furore, a tratti, ha certi accenti futuristici.
Un furore eroico che mal fa i conti con il paese del Gattopardo. Basta cambiare giacca, cancellare qualche foto da Facebook, iniziare qualche mese prima un lento percorso di avvicinamento e la sella è assicurata.

Rinominare, ridefinire, ricollocare: la Terza Repubblica è lo spazio del “nuovismo” che, copiando la Treccani, “indica l’atteggiamento di chi propone, consapevolmente, innovazioni superficiali ed esteriori”.
Perché la realtà è naturalmente più complicata della narrazione, perché anche la peggiore delle leggi già perché è una legge ha prodotto diritti e doveri storicamente incancellabili, perché gli effetti di una norma non si cancellano “all’indietro” con un’altra norma, perché ogni norma alla fine è figlia del suo tempo e non solo di maggioranze e minoranze.
Alla fine gli slogan non bastano e come ha detto il finanziere americano Warren Buffett, con una battuta rimasta memorabile, è “solo quando la marea si ritira che si scopre chi nuota nudo”.

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