Piccolo non è più bello? Si, no, però…
- Posted by Gianni Molinari
- On 26 Settembre 2016
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Ciclicamente viene intonato il “de profundis” della piccola impresa.
Gli argomenti sono sempre gli stessi soprattutto riguardano la presunta insufficiente capitalizzazione, la debolezza finanziaria, l’incapacità di comprendere le innovazioni, l’eccessivo peso del mercato locale.
Molte di queste ricorrenti tesi hanno ricevuto ampia risposta scientifica nei decenni. Migliaia di studi hanno spiegato che le cose non sono proprio così a patto però di definire cosa si intende per “piccolo” e “piccola impresa”.
Perché naturalmente c’è di tutto e il tutto alla fine somma quasi 400 miliardi di fatturato (Cerved 2015).
Naturalmente com’è tradizione italiana c’è molta ideologia: sia i comunisti, sia i cattolici hanno “preferito” il modello della grande impresa, ciascuno per comodità ideologico-narrativa.
Quando nel 1973 Giacomo Becattini, il “papà” dei distretti industriali, scrisse “Lo sviluppo economico della Toscana, con particolare riferimento all’industrializzazione leggera” (IRPET, 1973) dove descrivendo le piccole imprese dei distretti industriali parlava di un confine non più netto tra datore di lavoro e lavoratore e di lavoratori che diventavano imprenditori l’ortodossia comunista storse il muso (per usare un eufemismo).
La piccola impresa impose relazioni diverse dalla grande industria: troppo per chi era nato nel culto della contrapposizione tra classi sociali e nel culto del “pluslavoro” e del “plusvalore”.
Naturalmente è profondamente diversa la “piccola” impresa manifatturiera, da quella del commercio, o da quella dei servizi alla persona, così come da quella dei servizi turistici.
Sono quattro ambiti con dinamiche profondamente diverse.
Nella sharing economy, per esempio, i vantaggi per i “piccoli” sono enormi perché la possibilità di acquistare o condividere on line risorse e servizi alleggerisce i costi fissi e flessibilizza rendendo i margini di profitto più alti.
Così come nell’economia della rete il modello della “costellazione” (cioè la frammentazione del processo produttivo in imprese specializzate in una sola fase) superata l’imposizione della localizzazione trova spazi e alleanze finora inediti a patto di essere “leggeri” e “flessibili”: caratteristiche che hanno fatto forte la piccola impresa manifatturiera italiana.
Ovviamente nel ciclo economico c’è chi sale e chi scende e nell’economie moderne ci sono beni e servizi che non servo più anche a prezzo zero.
Ma questo riguarda piccoli, medi e grandi.
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