Salari (bassi), innovazione (poca) e lamenti: perché l’Italia cresce poco

Salari (bassi), innovazione (poca) e lamenti: perché l’Italia cresce poco

  • Posted by Gianni Molinari
  • On 10 Giugno 2023
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Il sabato è il giorno delle note degli uffici studi: è un giorno talmente affollato che la mitica Cgia di Mestre (Confartigianato), antesignana del settore, si anticipa presto la mattina alle 9 (le piccole imprese pagano 19 miliardi di tasse in più dei giganti del web presenti in Italia, il titolo di oggi), poi spesso c’è Coldiretti (con note molto interessanti sul consumo dello spumante a Natale), Confesercenti, Cna e vari altri.

C’è pure l’autorevole CSC, Centro studi di Confindustria.

Ovviamente – come succede per tutti gli appuntamenti fissi, a cominciare dalle rubriche sui giornali (come il caffè di Gramellini che riesce un giorno si e quattro no) – non sempre le cose sono interessanti e spesso lo zelo di compiacere il committente non è un buon consigliere.

Oggi il Centro Studi di Confindustria spiega che “Tra il 2000 e il 2020 nel manifatturiero italiano i salari reali sono cresciuti del 24,3%, pressoché in linea con la variazione cumulata della produttività del lavoro (22,6%). La crescita dei salari reali è stata simile a quella registrata in Francia e superiore a quella di Germania e Spagna. Ma in questi paesi la produttività del lavoro è cresciuta ben più che in Italia (il doppio in Germania). Ciò implica una netta perdita di competitività per il nostro manifatturiero”.

Se non fosse la voce degli imprenditori, ci sarebbe da ridere.
Invece c’è da piangere: perché la produttività, di cui si lamenta la modesta performance, non cresce avvitando più velocemente i bulloni ma introducendo innovazioni tecnologiche e organizzative che – come dimostrano tutte le analisi indipendenti – le imprese italiane tardano a introdurre.
Inoltre si ricordi che queste sono le variazioni percentuali: in Italia si parte da salari nell’industria molto più bassi rispetto a Germania e Francia (più alti rispetto alla Spagna che però ha una struttura manifatturiere molto ridotta rispetto a quella italiana). Quindi la crescita del 25% su 1.600 euro è diversa dalla crescita del 15% su 2.400 euro!
Dalle indagine dell’Istat sull’ Innovazione nelle imprese si può constatare come negli ultimi 13 anni (anni rilevati dall’istituto di statistica in questi report) la metà delle imprese non ha svolto attività innovative (peraltro lautamente sovvenzionate dallo Stato) e che la propensione a innovare è nelle imprese più grandi e che è scarso l’investimento nello sviluppo di nuovi prodotti.
Quindi, cosa ci vuol dire il Centro Studi di Confindustria?  “Servirebbe un alleggerimento del carico fiscale (su lavoro e capitale), funzionale nel breve periodo a far recuperare potere di acquisto ai salari e ad alleviare la compressione dei profitti”.
Ora il carico fiscale sul capitale in questo paese è già molto avvantaggiato rispetto al lavoro – e negli ultimi anni ha sbilanciato profondamente la struttura sociale del Paese – per cui si può dire che va bene così.
Servirebbero più investimenti in innovazione delle imprese e servirebbe più coraggio anche in chi pensa di rappresentarle (perché quando si parla con gli imprenditori…..)

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