Tempi migliori?
- Posted by Gianni Molinari
- On 5 Febbraio 2011
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Nei giorni scorsi l’Istat ha pubblicato i dati sul reddito delle famiglie italiane nel 2009, l’annus horribilis dell’economia mondiale. Ovviamente, essendo crollato in quell’anno il Pil era del tutto prevedibile che il reddito delle famiglie diminuisse, che la diminuzione maggiore interessasse il Nord del Paese (giacché lì si produce e si esporta molto di più che al centro e al sud, dove sono prevalenti attività pubbliche o private protette). Ovviamente per la predominante scadente cultura economica del giornalismo italiano la flessione del reddito delle famiglie era un fatto inaspettato, qualcosa di non previsto e via discorrendo.
Tuttavia al di là dello scadente approccio dei media italiani alla notizia della flessione del reddito delle famiglie, è il caso di tentare una lettura un po’ più complessa alla questione.
Non bisognava certo aspettare l’Istat per sapere che il reddito delle famiglie aveva subito una flessione né l’ampiezza del segno negativo, né la sua distribuzione geografica: se è vero che da anni ci ripetiamo che le famiglie non arrivano più alla quarta settimana era dunque già nel comune sentire che il reddito delle famiglie fosse in flessione.
Il tema è un altro: com’è distribuito il reddito delle famiglie e come la crisi finanziaria ha agito sulla sua distribuzione? Questo per capire davvero chi ha pagato la crisi del 2009 e soprattutto ove si volesse fare qualcosa per sostenere chi ha perso più di altri o semplicemente chi – per il lavoro che fa, per il settore in cui opera, per il luogo in cui vive – è esposto più di altri alla congiuntura.
Un Paese non può certo liquidare come un fatto privato di un gruppo di imprese, di lavoratori e di famiglie la crisi (e forse la scomparsa) di interi settori del manifatturiero, al di là delle elemosine e degli slogan (qualcuno ricorda le crociate del ministro Tramonto contro la Cina e il suo aggressivo export? E qualcuno ha presente il risultato di quelle crociate?).
L’economia italiana (non solo ….) ha nel suo Dna ancora le basi dei rapporti di scambio medievali che avevano nel monopolio naturale il fondamento e l’affondamento !
Cos’è il monopolio naturale? Se per attraversare un fiume c’è un solo ponte (e io non ho voglia di nuotare, o non so nuotare, o è meglio non guadare un fiume periglioso a nuoto!) quello è monopolio naturale. Io devo semplicemente passare di lì e il monopolista può chiedere quello che vuole indipendentemente da ogni valutazione di tipo economico!
Ebbene quella che si chiama Italia del terzo millennio è tuttora dominata da monopoli naturali (oltre ai tanti monopoli legali….): hai bisogno di una cosa non hai scelta; c’è un solo ponte, un solo ufficio pubblico, un solo notaio, un solo farmacista, un solo tassista. L’Italia è riuscita a trasformare anche i monopoli legali in monopoli naturali.
Ovviamente guardando la cosa dal lato del monopolista la prospettiva è diversa: consumi elevati, beni posizionali a profusione, rischio nullo o quasi nullo, incassi anelastici. Mentre fuori c’è la tempesta, l’accogliente monopolista all’Italiana sta al caldo della sua molto grande e ricca casuccia.
La questione e che di questi monopolisti non ce ne sono pochi: se nel medioevo si pagava il signorotto per passare su un ponte, ora i ponti sono moltiplicati e trasformati e molti sono i loro proprietari. Quindi c’è una ricchezza ferma ma non accentrata in pochissime mani (come certa pubblicistica old-left per comodità intellettuale vaticina) che è un blocco sociale e politico capace di influenzare e orientare scelte politiche ed economiche.
Un altro esempio macroscopico è il mercato immobiliare di alcune città dove per ricevute le nuove costruzioni sono state contingentate o spostate su certi livelli di prezzo (elevato) . Se si guarda bene i prezzi per metro quadrato sia per l’acquisto, sia per l’affitto in questi posti hanno subito flessioni limitatissime negli anni del buio pesto della crisi finanziaria nata appunto dalla bolla immobiliare. E certamente in nessun caso si è tornati ai livelli pre-bolla.
Che significa questo comportamento? Semplice. Ci sono proprietà immobiliari con caratteristiche di monopolio naturale concentrate in un numero cospicuo – ma non grandissimo – di mani che può permettersi tranquillamente di tenere case vuote in attesa di tempi migliori (per loro…) senza subire un danno rilevante alla propria struttura economica.
Esempio: ho cinque appartamenti, tre li ho fittati per 800 euro al mese e due aspetto di fittarli a quella cifra. Intanto metto in tasca ogni mese 2.400 euro (quanto guadagna un direttore di banca, euro più euro meno) sostanzialmente senza far nulla. E congelo altri due appartamenti in attesa di poter avere altri 1.600 euro. Tanto il costo di tenerli sfitti non è tale da scoraggiare il loro congelamento sul mercato.
L’esercizio può essere ripetuto cambiando i vari scenari, il risultato non cambia. C’è un pezzo di popolazione che – può succedere qualunque cosa – ottiene un reddito invariabile (o variabile in positivo) da rendite o da salari per attività protette (notai, farmacisti….) e un’altra parte di popolazione che è enormemente esposta (peraltro questo in una economia capitalistica è la regola, per quanto possa o meno piacere).
L’esproprio proletario non c’entra nulla (e, se mi ricordo bene, quando tale strumento è stato usato da giovanotti della borghesia italiana vestiti di ideologia a buon mercato e momentaneamente prestati all’irruenza proletaria, lo è stato in danno di veri lavoratori. Cosa può essere l’assalto a un supermercato o a un negozio di hi-fi?): il tema è di pura analisi economica sulla distribuzione del reddito e di come uno stato capitalista e liberale (giacchè liberale non significa che ognuno fa quello che gli pare!) deve vigilare affinché tutta la popolazione possa partecipare alle opportunità di crescita e di ricchezza.
Questo non è socialismo, e men che meno comunismo nelle sue improbabili variabili reali, irreali, democratiche, popolari e varie. Questi sono i principi dell’economia capitalistica di Adamo Smith.
Uno Stato dominato dai monopoli, dalle corporazioni (piccole e grandi) è destinato al declino. La prospettiva è la Grecia: turismo e prodotti alimentari (come vaticina da anni Bossi per il sud: ma come vede le cose partono da una parte e vanno dappertutto, valli della bergamasca comprese)). Ma le nostre dimensioni non sono quelle della Grecia. E quindi non basta.
L’Italia ha bisogno di una vera politica liberale capace di liberare le energie sociali ed economiche di cui il Paese è ricco.
Ma di liberali veri – non i travestiti del bunga bunga – in giro non ce ne sono o sono prudentemente chiusi in aziende, università e banche. In attesa di tempi migliori.
In attesa le famiglie sono più povere. Ma tra poco c’è San Remo e la discussione si sposta sulle gravidanze illustri.
Tempi migliori ?
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