«Ah, ecco. Sei qui». Disse con la bocca appena aperta Vito Romaniello, ispettore di Ps, sezione casi irrisolti, squadra mobile, Questura di Napoli.
«Ecco» sbuffò Tiziana Renna funzionario e capo della sezione. «Con calma, senza fretta, scusa l’incomodo!» incalzò acida per sottolineare il
disappunto per l’attesa del sottoposto.
«Almeno hai capito?»
A terra, con il volto devastato c’era Cira Notarnicola, moglie di Ciro Manicone, detto «Ciro 3 denti», il fu gran capo della camorra del
Pendino. Ucciso pure lui nello stesso modo, ma dieci anni prima. Delitto senza colpevoli, e soprattutto senza spiegazioni.
«3 denti» faceva o’ broker. Nell’accordo della Sanità che aveva ristabilito la pace dopo due anni di guerra gli era stato assegnato il ruolo
del broker: stava per lo più in Colombia a Calì, acquistava cocaina per tutti. Aveva diritto a una percentuale su tutto il commercio: era
sufficiente per mantenere il clan, ma niente piazze di spaccio oltre il Pendino e dentro il quartiere non doveva esagerare. Lo uccisero con tre
“botte” in faccia, Magnum. E così dieci anni dopo la moglie. Sempre tre botte. Sempre Magnum. Sempre senza lasciare una traccia.
È solo che mentre lui stava “in mezzo”, donna Cira era fuori da ogni giro.
Rispettata da tutti, ma fuori.
Ma ora perché stava lì a terra?
Romaniello fece un veloce giro nelle quattro stanze: casa di camorrista, pacchiana e soprattutto “pulita”. Fece segno ai vicini, ma sapeva già:
nessuno aveva visto e, naturalmente, sentito niente. Bisognava giocare di fantasia. Serviva, qui e ora, un’intuizione. Senza non si sarebbe mai più risolto questo caso, così come l’altro.
«Romanie’ – lo spinse fuori dal torpore creativo la Renna – ma quella parete con tutte quelle foto? Ma hai visto quelle facce?»
C’era qualcosa di irregolare in quel colorito altarino. Quelle facce non erano lì per caso, come non era un caso l’ordine.
«Monsignore Iorio, monsignore Iorio». Si levò la voce della folla. E questo che ci fa. «Era una pia donna, sempre in chiesa. Come può
essere. Diciamo tutti una preghiera».
A Romaniello il panzone non piaceva. La Renna scodinzolava. «Tizia’ – le sibilò – tieniti larga, questo non è pulito».
Il monsignore fece per toccare il cadavere. Fu un attimo e Romaniello gli saltò addosso: «No, non lo puoi fare».«Come? E Lei chi è, ci conosciamo?» Replicò infausto il monsignore.
«A parte che qua non ci puoi stare, chi sei lo dico io». E manco finì la frase lo spinse fuori dall'appartamento nel terrore generale.
«Ma che fai?» Lo affrontò la “capa”. «Quello che avresti dovuto fare tu.
Qua non ci può stare nessuno. Manco la scientifica è arrivata. E poi vuoi sapere una cosa? Questo puzza e vedrai che questo qua c’entra!».
Romaniello aveva avuto l’intuizione. Solo un flash. Ora serviva la sostanza.
La sostanza si deve trovare nella vita di donna Cira.
Uscì. Per quel giorno bastava. Troppa confusione per pensare.
Tornò a casa della morta il giorno dopo, prese una sedia, la girò, appoggiò il mento e si mise a scrutare quell’altarino.
Non doveva avere una espressione particolarmente intelligente e se ne accorse lui stesso perché a un certo punto fece uno scatto come per
ricomporsi. E mentre faceva quel movimento ebbe un ulteriore sussulto.
«Io so’ scemo» si flagellò. «Ma come non l’ho capito subito. Questi sono tutti preti e perché questa se li era appesi tutti in fila?».
Chiamò la scientifica, o meglio chiamo l’unico fotografo della Scientifica che lo sopportava.
«Vincenzino vieni mo’ stesso!». Vincenzo D’Albora, sovrintendente di Polizia, a due anni dalla pensione amava Romaniello: aveva gli anni che gli riuscivano a far intravedere in quel mezzo matto le qualità che in pochi aveva visto.
Non si lasciò pregare due volte e raggiunse Romaniello con tutto l’armamentario del caso.
«Vincenzino uno per volta, poi tutti insieme, poi prima sopra e poi sotto, poi da destra….»
«Oh uaglio’ tu non stai bene. Fermo, ho capito. Fammi fare, statti zitto».
Romaniello fece meglio: sparì. Sapeva che D’Albora aveva capito, senza spiegare nulla, cosa serviva e per quando gli serviva.
«Allora questo è il book, nomi cognomi link al sito della diocesi, ordine di appartenenza e soprattutto precedenti».
«Aspetta, che significa», interruppe Romaniello.
«Sono 23 preti con precedenti, i più vari ma con un comune denominatore: stavano tutti nello stesso seminario insieme indovina a
chi?»
«Tu sei scemo, ora facciamo Rischiatutto. Muoviti!», si irrigidì Romaniello che non stava capendo dove l’inchiesta potesse a quel punto parare.
«Il mio orario è finito….» provò a scherzare il poliziotto-fotografo.
«Erano in seminario con la buonanima di Ciro Manicone!» esclamò trionfante. «E sono pure tutti vivi».
«Cioè teneva l’altarino con le foto dei vivi? Facendo finta che fossero morti?».
Romaniello strappo di mano il dossier a D’Albora, vide gli
indirizzi.
Cominciò a girare tra i Decumani, poi andò verso Ponticelli, poi Barra, poi tornò indietro verso Monte di Dio. Salì al Vomero. A quelle porte non rispondeva nessuno! Dov’erano finiti?
Romaniello stava impazzendo: capiva di avere in mandò il bandolo della matassa, ma non riusciva ancora ad avere il quadro completamente
chiaro.
Sempre a sirene accese, cosa che peraltro lo inebetiva ulteriormente, si diresse verso Bagnoli. Non ci credeva che quell’ultimo indirizzo potesse essere utile a qualcosa. Nella sua testa già c’era il film, l’ennesimo, del fallimento. Era andato vicino a qualcosa di grosso ma era rimasto con un pugno di mosche in mano.
Via Acate. Palazzo anonimo. Portone aperto. Romaniello lesse il nome sul citofono: quinto piano. Bestemmiò. Non c’era l’ascensore. Salì veloce tanto era nero per il flop della giornata e la punizione divina delle scale.
Era talmente incazzato che a un certo punto nell’accelerare tra una rampa e l’altra scivolò e finì di faccia a terra. Niente di grave per carità.
Ma c’era un odore inequivocabile: gas. Si riprese cercò di capire e capì che l’odore arriva proprio dall’abitazione dell’ultimo della lista: don
Peppe Quagliano. Con un calcio la sfondò, trovò l’uomo semisvenuto con la testa appoggiata sul tavolo da cucina. Incosciente. Chiamò il collega in auto e il 118. Fu a quel punto che intravide sotto il tavolo una pistola.
Quasi senza rendersene conto saltò indietro, estrasse la sua di arma e con un altro balzò prese l’arma a terra
Si rese conto che aveva pochi minuti per fare il bottino.
Prese dell’acqua gliela buttò in faccia. Don Peppe si rianimò quel tanto che bastava a Romaniello.
«Io no, non sono stato io» scoppiò in lacrime don Peppe. Romaniello aveva l’arma in mano, non doveva essere rassicurante, suo malgrado.
Il prete immaginò che Romaniello stesse per fare il lavoro che lui non era riuscito a fare col gas. Si inginocchio, piangeva come un bambino.
«Ciro era un bravo ragazzo in seminario. Noi tutti eravamo bravi ragazzi fino a quando non venne Cesare Iorio. Noi eravamo ingenui. Lui ci
convinse che dovevamo combattere il diavolo nella sua stessa casa e cominciammo a frequentare le messe nere. Lui voleva che noi
sostituissimo i satanisti, voleva svuotarli. È durato due, tre anni. Poi il Rettore capì qualcosa e fummo mandati tutti e 24 in posti diversi. Ciro
uscì dal seminario e quello che faceva lei lo sa. Solo che dopo 20 anni Ciro si è ritrovato faccia a faccia con Cesare in una messa nera. Cesare
Iorio monsignore che celebrava la messa nera e Ciro Manicone che aveva portato un chilo di cocaina. Cesare sapeva che Ciro stava lì per lui,
perché doveva fermarlo. Lo avevano mandato per questo. La Chiesa non poteva permettersi al suo interno uno scandalo del genere. Meglio un prete con la cocaina che un prete satanista, Cesare fu più veloce, la sera stessa lo uccise. Donna Cira, invece, ci ha messo un po’ di tempo: aprì una cassetta di sicurezza in banca e da allora ha cominciato a cercarci tutti. Cesare ci ha chiamati, ci ha mostrato le prove delle nostre
debolezze e ci ha ridotti al silenzio».
Cesare Iorio, il monsignore della scena del delitto.
Romaniello aveva avuto quello che voleva. Andò nella parrocchia di don Cesare Iorio.
Stavolta avvisò la Renna. Meglio dividere la gloria che
restare solo nel possibile disastro, pensò illuminato.
Erano una ventina. Avevano appena preso posto per tentare l’irruzione, quando dall’interno si udì un colpo sordo. Buttarono giù la porta,
salirono di gran carriera quei pochi gradini che si trovarono innanzi e trovarono Cesare Iorio con il volto devastato da un colpo.
Una Magnum.